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Antonio Canèpa nasce a Palermo il 25 ottobre 1908. Il padre, Pietro, è un noto giurista, docente universitario, la madre N.D. Teresa Pecoraro sorella dell'On. Antonino Pecoraro del Partito Popolare. Tracciare un profilo di Antonio Canèpa non è semplice, per giudizio unanime si presentava come personaggio chiuso e misterioso. Studia presso i gesuiti prima a Palermo poi ad Acireale (CT) al collegio Pennisi. A 22 anni nel 1930 si laurea in legge a Palermo con 110 e lode pubblicando la tesi: "Unità e Pluralità degli Ordinamenti Giuridici". Compie il servizio militare come Ufficiale nei reparti motorizzati dell'Esercito. Convinto assertore della libertà che spetta per diritto naturale agli uomini e alle nazioni, coniuga l'attività con il pensiero.
Fece parte di un collettivo studentesco che progettò nel 1933 l'insurrezione della Repubblica di San Marino per sollevare l'attenzione mondiale contro i pericoli del totalitarismo fascista.
Prima della guerra Canèpa fu docente universitario all'università di Catania. In questo periodo intraprende la doppia attività: da un lato severo docente universitario, dall'altro con lo pseudonimo di Mario Turri o anche prof. Bianchi, comincia ad organizzare l'opposizione al regime fascista ed al colonialismo da cui si sente schiacciato insieme ai siciliani. Il professore guerrigliero aveva un
forte ascendente sugli studenti per la passione che trasmetteva nel parlare degli ideali di libertà e giustizia sociale. Dalla Cattedra etnea di Storia delle dottrine politiche, come ha ben ricordato Salvo Barbagallo in Una rivoluzione mancata, dimostrava già di non essere soltanto un teorico e un uomo di studio, ma soprattutto, un uomo di azione: il capo del movimento clandestino indipendentista dei gruppi di Giustizia e libertà ai quali si devono le uniche azioni di guerra partigiana nell'Isola dall'inizio del 1941 al giugno 1943. Era pertanto legittimo e naturale che nel 1943 i Siciliani tornassero a esigere dallo Stato dominatore di essere lasciati a se stessi, e la loro lotta dal 1943 alla primavera del 1946 fu lotta per la Libertà e la Democrazia.
Forse già in contatto con i servizi segreti inglesi, con cui mise in atto un sabotaggio (10 giugno 1943) contro l'aeroporto di Gerbini, vicino Catania, adoperato dai tedeschi. Fra il 1942 e il 1943 pubblica clandestinamente "La Sicilia ai Siciliani", che per la semplicità e l'immediatezza dei concetti storico politici riportati, sarà una pietra miliare per la ricerca di libertà e autogoverno del popolo siciliano. Certamente considerava possibile una rivoluzione sociale in Sicilia, capace di sistemare storture secolari, immettendo queste problematiche all'interno del più generale movimento separatista. Purtroppo la sua lungimiranza non lo preservò dai facili entusiasmi. Canèpa ben presto, grazie anche alla consistenza numerica e qualitativa dell'esercito di liberazione da lui fondato, venne identificato come un pericolo maggiore dello stesso esercito italiano.
Arrestato il 17 giugno 1933 insieme al fratello e ad altri antifascisti, si finge infermo di mente e nel novembre del 1934 è libero.
Nel 1937 pubblica in 3 volumi l'opera "Sistema di dottrina del fascismo", lavoro storico scientifico sulla teoria del sistema fascista che gli varrà la cattedra universitaria di docente di storia e dottrina del fascismo e storia delle dottrine politiche. Facile dedurre quindi l'attenzione che poneva nell'analisi di quegli elementi che, nel dopoguerra,
sarebbero stati racchiusi nella "Questione Meridionale".
A Firenze, nel 1944, in collaborazione con i partigiani partecipa alla lotta di liberazione, ma la stessa notte in cui Pertini e i suoi giungerà in città, Canèpa in silenzio tornerà in Sicilia dove la sua presenza è necessaria ed urgente. Canèpa cadrà insieme a due "studenti guerriglieri", Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice in un'imboscata tesa dai carabinieri al bivio di Randazzo (CT) in contrada Murazzu Ruttu il 17 giugno 1945. Un Cippu ricorda quel massacro consumato per "ragion (strage) di Stato" e fatto decisivo che accelera gli eventi che portarono alla conquista dello Statuto Speciale di Autonomia che istituisce la Regione Siciliana. Il S.I.M. si era già reso conto che, non appena l'E.V.I.S. avesse raggiunto un organico di cinquecento o mille uomini, sarebbe scoccata l'ora della guerriglia urbana e della sollevazione generale, ossia che la lotta di liberazione dei Siciliani sarebbe entrata nella fase d'irreversibilità. Questo era il preciso e classico piano strategico di Antonio Canèpa.
Il primo nucleo dell'E.V.I.S.- Esercito Volontario per l'Indipendenza Siciliana- non nacque per decisione del direttivo centrale indipendentista, ma per iniziativa personale di Antonio Canepa. Dopo aver fatto saltare l'aeroporto di Gerbini all'inizio del '43 (utilizzato dai tedeschi come
aeroporto militare -N.d.R.), Canepa era sparito da Catania per andare a svolgere una missione nel nord. Ci sono notizie infatti sull'attività partigiana da lui svolta intorno a Firenze nei primi mesi del '44, e sembra che i tedeschi avessero anche messo una taglia su di lui. Canepa comunque tornò
a Catania nell'autunno del '44 e si pose ad organizzare una forza armata indipendentista. Nei suoi rari contatti con i leaders del movimento separatista, egli sosteneva che l'indipendenza si sarebbe dovuta conquistare con la forza. Ma Canepa era trattato con una certa freddezza, perché era uomo
di sinistra. Per i latifondisti parlava troppo di riforme; inoltre criticava apertamente l'indirizzo reazionario del gruppo dirigente indipendentista.
...Durante la sua
permanenza nel nord, fra il 1943 e i primi mesi del 1944, aveva preso contatto con la direzione del Partito Comunista, esponendo con estrema precisione la situazione siciliana, prospettando cioè l'intenzione della classe agraria di
fare della Sicilia una repubblica clerico-aristocratica, oppure - se la corrente capeggiata dal duca di Carcaci di Catania avesse prevalso - una monarchia retta da una famiglia regnante siciliana. Canepa aveva anche fornito
particolari sui contatti privati intercorsi tra i dirigenti di destra del movimento e rappresentanti conservatori inglesi e americani. Tornato a Catania, aveva stretto i suoi legami con i comunisti siciliani, pur restando
fedele ai suoi ideali separatisti. Riteneva che l'idea indipendentista avesse una base popolare che si sarebbe immancabilmente rivelata in seguito, e sosteneva la necessità di essere presenti all'interno del separatismo per indirizzare positivamente queste forze popolari.
Dopo discussioni e
incertezze, Canepa fu messo sotto tutela ideologica di Edoardo D'Onofrio. I dirigenti del Partito Comunista finirono per convincersi che era necessario fare un'eccezione alla linea ufficiale contraria all'indipendenza della
Sicilia, e convennero di non abbandonare Canepa a se stesso. (...) Canepa ammise di far parte del movimento separatista, senza accennare alle formazioni militari indipendentiste delle quali tanto si parlava; mise in rilievo quello
che gli stava più a cuore: la possibilità di risolvere alcuni problemi sociali della popolazione lavoratrice sfruttando la guerra in corso, la presenza degli alleati in Sicilia e la opposizione generale dei circoli dirigenti e delle
masse popolari verso il Governo centrale di Roma. Secondo lui, i baroni, i feudatari siciliani, che pur stavano dietro il movimento indipendentista, ne sarebbero stati travolti sul piano sociale, e quindi politico. In questo senso
egli interpretava e riteneva utile la sua presenza e la sua attività di comunista nel movimento indipendentista.
(...) L'organizzazione del gruppo armato di Canepa era ancora in una fase preliminare quando, a Palermo, la
direzione del movimento separatista decise di dar vita a un esercito di "liberazione", e Antonino Vàrvaro propose subito che si utilizzasse il lavoro già svolto da Canepa a Catania, nominandolo capo militare.Varvaro vedeva con
entusiasmo che l'esercito indipendentista fosse organizzato e diretto da un uomo sinceramente democratico come Canepa, poiché ciò sarebbe stato molto utile a indipendenza conquistata. Lucio Tasta, i latifondisti e i nobili,
d'altro canto, che speravano di poter controllare l'iniziativa di Canepa, accettarono una soluzione di compromesso: Guglielmo Paternò Carcaci avrebbe assunto il ruolo di comandante supremo con l'ausilio di Concetto Gallo, e
Antonio Canepa quello di comandante di una brigata che si sarebbe subito formata in montagna, armata e organizzata con criteri simili a quelli messi in pratica dai partigiani jugoslavi.
Canepa passò quindi alla pratica. Era un
uomo energico. Raramente partecipava a riunioni politiche pubbliche. Molti, a Catania, non sapevano neppure che egli fosse indipendentista. Anche coloro che avevano inteso parlare dell'esercito separatista e del suo capo "Mario Turri",
non avevano la più vaga idea che alla testa dei guerriglieri fosse quel professore dall'apparenza così calma e innocua. Canepa, che aveva anche collaborato con i servizi segreti inglesi per realizzare dei sabotaggi, aveva
assimilato una mentalità cospirativa. Agiva prendendo tutte le precauzioni. Dava appuntamento ai volontari e poi si nascondeva per osservare le loro reazioni e in genere li riceveva in una soffitta dell'università, oppure in
mezzo alle macerie di un vecchio palazzo di via San giuliano a Catania. Riuniva i giovani a piccoli gruppi, dando a ciascuno un nome di battaglia, l'unico che fossero autorizzati a usare, e li muniva di carte d'identità false
di cui aveva una riserva praticamente inesauribile. Cambiava ogni volta il luogo dell'appuntamento e una volta che ebbe bisogno di riunire un gruppo più numeroso del solito, una quarantina di volontari, li convocò nella sagrestia
di una chiesa, con la complicità di un sacerdote separatista.
Si preoccupava di scegliere i suoi uomini per la brigata nella classe media. Inizialmente voleva arruolare gente istruita per formare rapidamente dei
quadri dirigenti. Si trattava di studenti, commercianti, giovani professionisti di sicura fede democratica, cui egli, con molte cautele, impartiva una formazione ideologica. Uomo di viva intelligenza, Canepa
conquistava i giovani per la sua dedizione alla causa e per l'assenza assoluta di interesse e ambizioni personali. Benché non avesse mai fatto un giorno di soldato, possedeva anche una preparazione militare teorica di una certa
profondità. Aveva un'idea precisa, per esempio, dell'organizzazione di una guerriglia moderna e l'esperienza che aveva fatto nel nord prima di rientrare a Catania gli aveva permesso di perfezionare i suoi piani.
Breve storia dell'EVIS, tratto da L'esercito della lupara, di Filippo Gaja. Maquis Editore, MI 1990.