La "Sicilianitudine", se ci fosse e se ne volesse parlare, sarebbe termine vasto, come "umanità". Ci sono però delle caratteristiche della sicilianitudine che fanno muovere Fazzi. Una sta, inespressa e persino inconsapevole, "nell'interiorità del popolo". In Sicilia è sempre altri, fuori dal popolo, che dona e che toglie, che fa il bene e il male, ancor quando quest'altri non è più l'emissario d'un governo
straniero, come è sempre stato nella lunghissima storia, ma del Governo Autonomo Regionale, della Cassa del Mezzogiorno, del Governo nazionale o semplicemente dell'amministrazione provinciale o comunale.
Fernando Luigi Fazzi è nato a metà del ventesimo secolo,
in un cocuzzolo di montagna, capoluogo di una delle nove province siciliane, Enna; è cresciuto a ridosso della seconda guerra mondiale, che, come a tanti altri siciliani gli ha lasciato
lo strascico di una scorza rude, in contrasto con la sensibilità interiore. Forse perché l'una e l'altra si difendono e si contrastano vicendevolmente.
Fazzi ha lottato a lungo, prima di raggiungere l'indipendenza (in senso lato e generale), conquistata con la caparbia determinazione di non sottostare ai tanti condizionamenti: "neanche a quelli della carta stampata", dichiara.
La sua indipendenza interiore è foriera di libertà e all'occorenza di ribellione.
La prima poesia gli è stata pubblicata a tredici anni d'età su una rivista scolastica a tiratura nazionale (Vera Vita), su segnalazione dell'allora Rettore del Real Collegio Capizzi di Bronte.
Da giovane ha collaborato a molti giornali e riviste, fondato circoli culturali e aperto teatri.
Nel 1977 ha pubblicato la prima raccolta di poesie in dialetto siciliano intitolata Cumpagni arrivigghiativi (Compagni risvegliatevi) che gli valse un'intensa amicizia con il "vecchio"
Ignazio Buttitta.

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