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Domenico Tempio

Centro Studi Storico-Sociali Siciliani
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Centro Studi Storico-Sociali Siciliani

DOMENICO (Miciu) TEMPIO

(Catania 22/08/1750 - 4/02/1821)

Campagna del CSSSS contro la pedofilia

"... Chista chi prucedi a vui davanti, schiera di 'mbriacuni e traballanti"

Compagnia Teatrale Attori 2000

Domenico Tempio

Domenico (Miciu) Tempio nacque a Catania il 22 agosto 1750 e visse, come lui stesso scrive, in un tugurio fatiscente per poi trasferirsi in via Vitt. Emanuele II al n. 140. L'appartamento è all'interno del palazzo "Mazza di Villallegra", donato dal Principe di Biscari al suo poeta di corte. Accanto al portone è stata apposta una targa dal Rotary Club, che così recita: “in questa casa visse Micio Tempio che dello spirito erotico si nutriva per fare poesia. O viaggiatore, alza lo sguardo e sorridi a colui che questi simboli ai posteri lasciò“. Si fa riferimento in questi versi al balcone che si affaccia sulla strada e mostra dei capitelli, tutti sporchi, che confermano la linea poetica "vastasa" di Miciu Tempiu. Oggi il palazzo versa in condizioni pietose come si vede dalla foto presente in questa pagina.
Era il terzo di sette figli di Giuseppe (morto nel 1775), mercante di legna, e di Apollonia Arcidiacono (morta nel 1786). Non tutti gli episodi della prima età caratterizzano una vita; ma i versi satirici che il giovanissimo Domenico Tempio, libera da una fionda metrica, sono un vero e proprio programma della sua indole. Era stato destinato al sacerdozio e, a tale scopo, entrò nel seminario arcivescovile, che era a quel tempo la più importante scuola della città, e vi studiò, come ebbe a scrivere Innocenzio Fulci, i rudimenti della lingua latina, che giusta il maestramento de' PP. Gesuiti, eran lunghi non meno, che nojosi. Ne uscì all'età di 23 anni, nel 1773, e il padre, vista fallita la vocazione sacerdotale del figlio, avrebbe voluto avviarlo alla professione forense, ma anche questo tentativo fallì, perché il giovane Domenico preferì proseguire nella strada degli studi umanistici. Tutta la sua vita, che dura 71 anni, sino al 4 febbraio 1821, è un culto della poesia che non deve confondersi con quello della letteratura in versi in voga in quel periodo, ma è costume di vita, satira pungente, fisiologia divenuta ritmo, salve, s'intende, le diverse e più o meno complesse componenti culturali. Criticava i costumi dell'epoca di una società ipocrita e falsa. Non molte né continue sono le notizie biografiche del Tempio; ma nessuna di queste contrasta con l'indole e l'educazione sopra descritte, con una sensibilità tanto più amabile, quanto meno ammantata di magne pretese. Compose i primi versi in sordina ma la sua notorietà si sviluppò velocemente. L'argomento emergente nelle sue opere è l'erotismo. Le confessioni, disseminate nell'opera, e particolarmente nel poema maggiore, La Carestia, sono esplicite, ora implicite, sempre sobrie e schiette. Per Caterina (la balia fedelissima e generosa che fu la sua compagna di vita dopo la morte della moglie), non troviamo che due versi: "Ma tu non poi scapparimi / di menti, o Catarina" (La Carestia, canto III, 521-522); e tanto basta per sondare il pudore del Tempio. E la povertà? La sua abitazione è un tugurio di oltre periferia: "surgi lu miu tuguriu / fra sciari e petri tunni". (La Carestia, VI).

Casa di Domenico Tempio

Scrisse quasi sempre in lingua siciliana e in dialetto catanese tanto caro agli ambienti nobiliari, avendo molta padronanza del verso. Tradusse alcuni classici latini (Livio, Orazio, Tacito, Virgilio), e lesse attentamente Machiavelli e Guicciardini, insieme coi maggiori poeti italiani da Dante fino ai suoi contemporanei. Ma è da rilevare anche la particolare attenzione dedicata ad alcuni tra i più discussi rappresentanti della cultura francese, come Carlo Rollin (1661-1741), il quale da figlio di coltellinaio era diventato rettore dell'università di Parigi, e Antonio Goguet (1716-1758), che aveva tentato di affermare uno stato di natura sulla base dell'etnografia, dimostrando che le idee discendono sempre dai fatti. Ben presto il Tempio acquistò fama di buon poeta e fu accolto nell'Accademia dei Palladii e nel salotto letterario del mecenate Ignazio Paternò principe di Biscari. Dopo la morte del padre (1775), fu costretto a trascurare gli studi per continuarne l'attività commerciale, ma gli affari andarono male e contrasse debiti, senza riuscire a raddrizzare il bilancio familiare.

Perduta anche la madre, sposò Francesca Longo nel 1786, che morì un anno dopo nel dare alla luce una bambina, la quale morì anch'ella. Come scritto sopra, convisse con Caterina, 'gnura Catarina, già balia della neonata "Apollonia", che diventò la sua compagna fedele e gli diede un figlio, Pasqualino. Nel 1791 fu nominato notaio del casale di Valcorrente, ma forse non prese mai possesso di questo ufficio. Pochi anni prima di morire ottenne un sussidio dal Comune di Catania mentre ogni mese Caterina divideva i suo piccoli guadagni col poeta.

Domenico Tempio è da considerare il maggiore poeta riformatore siciliano, passato agli annali come il cantore delle poesie vastase. Nell'immaginario dei catanesi, quando si parla di poesia vastasa, emerge prepotentemente il nome di Domenico Tempio, ops, di Miciu Tempiu. Egli fu ammirato e lodato dai suoi contemporanei, ma dopo la morte la sua opera fu quasi dimenticata, tranne alcuni componimenti di carattere licenzioso che, pubblicati alla macchia, gli diedero ingiusta fama di poeta pornografico. Con la ripresa degli studi sul Settecento siciliano, dopo la seconda guerra mondiale, anche l'opera del Tempio è stata rivalutata e sottoposta a un serio esame critico. L'educazione del Tempio, come s'è visto, era fondata sulla base di uno schietto illuminismo con una forte componente classicistica. La sua lingua (tranne qualche rara eccezione) è quella siciliana, e conferma una lunga tradizione di autonomia linguistica e letteraria che, dal volgare siculo, si estende fin quasi ai nostri giorni. La poesia tempiana vuol essere libera, denuncia i vizi e le malvagità degli uomini, e addita nell'ignoranza la prima causa di ogni male (Odi supra l'ignuranza). La sua satira, spesso aspra e pungente, mira al rinnovamento morale della società e al riscatto degli uomini dalla miseria, ma i valori poetici emergono spesso al di sopra delle intenzioni. Così accade nelle favole, dove il ritratto si trasforma in paesaggio umano, e nei poemetti, dove l'episodio si apre alla contemplazione della natura. Nel poemetto la 'Mbrugghereidi (1781) condanna le malefatte di un prete imbroglione mettendone in ridicolo alcuni aspetti che sono in comune con quelli di tutti i preti dell'epoca; Ne Lu veru piaciri (1806) combatte ogni falsità ed esalta l'operosità dell'uomo; Invece nel poemetto La Maldicenza scunfitta (1807/08) difende la libertà della poesia e l'indipendenza del poeta. Tutti e tre i poemetti scritti in ottave narrative. Nel ricco "canzoniere" tende a smitizzare il quadro di una Sicilia arcadica e felice per avviare un lento ma sicuro processo verso il realismo, onde anche la malinconia diventa dolore della natura. I bozzetti drammatici (La scerra di li Numi, Lu cuntrastu mauru, La paci di Marcuni, Li Pauni e li Nuzzi) degradano l'Olimpo al livello delle spicciole miserie umane.

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Copertina interna della sua opera

L'opera maggiore di Domenico è il poema La Caristia (in venti canti di oltre ventiseimila versi in quartine di settenari), dove il poeta descrive i tumulti popolari cui diede luogo, a Catania, la carestia del 1797-98. Nella sommossa che divampa si aggirano, finalmente in funzione di protagonisti e non più di schiavi diseredati, le figure spettrali degli affamati. La Carestia, sopra il suo carro stridente, si aggira tra una folla di disperati famelici, che ondeggia e irrompe con furia irresistibile. I brani lirici si inseriscono nella tragedia come parentesi di pace e di abbandono, creando uno sfondo amoroso che è il mondo vagheggiato, ma non raggiunto, dal poeta. Ognuno di quei pezzenti rivoluzionari ha una sua triste storia da raccontare, ed è il complesso di tutte queste storie umane che determina l'unità e la genuinità del poema. Se Giovanni Meli è il maggiore rappresentante dell'Arcadia siciliana, Domenico Tempio è l'interprete più efficace di quei fermenti rinnovatori che erano penetrati ampiamente nell'Isola nel corso del sec. XVIII. L'impulso naturalistico impresso alla cultura siciliana dal Tempio tra Sette e Ottocento attenuerà le risonanze romantiche nella Sicilia greca e determinerà, sullo stesso piano morale e nello stesso ambiente catanese, la ripresa veristica di fine secolo.

Il teatro occupa un posto non indifferente nella vasta opera di Domenico Tempio e merita uno studio particolare e l'interessamento degli studiosi e dei registi. Tempio compose ben dodici melodrammi di diversa mole: La Truncitteide (1773 circa); L'amanti delusi (1774 circa); La scerra di li lumi (1774); Lu Jaci in pritica (realizzata e pubblicata nel 1777 e completata definitivamente nel 1812); Lu cuntrastu mauru (1798); La paci di Marcuni (1801); Li pauni i li nuzzi (1801); Amuri vindicatu (1810), che si ebbe in stampa anche il titolo di Tatu Alliccafaudi; La fera in cuntrastu (1814) e, infine, senza precisa indicazione di data: La disgrazia di li Pila, La grammatica pilusa e Patri Siccia.

L'edizione delle poesie tempiane fu pubblicata, vivente l'autore, a cura di Francesco Strano, col titolo Operi di Duminicu Tempiu catanisi (Stamparia di li Regj Studi, Catania, 1814 tomo I e II, 1815 tomo III). Il poema La Caristia fu pubblicato postumo, a cura di Vincenzo Percolla(1848-49). Altra edizione delle Poesie di Domenico Tempio poeta siciliano, con l'aggiunta di inediti, è quella del Giannotta in 4 volumi (1874). Le poesie licenziose furono raccolte da Raffaele Corso (1926). Un'ampia silloge è in Opere scelte, a cura di Carmelo Musumarra, con un saggio su Domenico Tempio e la poesia illuministica in Sicilia (1969); altra edizione, de La Caristia e delle Favole. Odi. Epitalami. Ditirambi. Altro vino, a cura di Domenico Cicciò, é del 1968. Due ricchi volumi, con saggi introduttivi e commento di Vincenzo Di Maria e Santo Calì (Domenico Tempio e la poesia del piacere) contengono Lu veru piaciri e le poesie licenziose (1970).

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Bibliografia tempiana:

OPERI di DUMINICU TEMPIU - Catanisi - Catania 1814.

Poesie inedite di Domenico Tempio, Meli, Scimonelli, Calvino e anonimi siciliani del '700.

Domenico (Miciu) Tempio IL MEGLIO con traduzione a fronte.

Domenico Tempio IL VERO PIACERE.

Domenico Tempio LA CARESTIA opera in due volumi.

Storia della poesia siciliana Domenico Tempio. a cura di Salvatore Camilleri.

Poesie "Poesie erotiche, lu veru piaciri, favuli" con disegni Libro vietato ai minori.

La Vita, il Pensiero e la Poesia di Domenico Tempio, si trovano sulla rivista "JU, SICILIA" organo ufficiale del CSSSS

Il CD con le poesie di Domenico Tempio

"Micio Tempio: Poesie erotiche" in CD lette da Tuccio Musumeci, Olivia Spigarelli e Tuitto Giardina.
Ascolto vietato ai minori di 14 anni.

LA LIBERTÀ

Iu in una gaggia mia
Un cardidduzzu avìa,
Chi cuntinuu satava
Senza queti, e riposu
Circannu libertà. Tu si assurtatu,
Cardidduzzu, e non vidi
La tua felicità. Tu non hai dica
D'abbuscarti la spisa;
Mangi, e bivi, e non fai nudda fatica.
Chista stissa prigiuni,
Da cui cerchi a vuluni
Scappari, ti fa esenti tutti l'uri,
Di crudi Cacciaturi,
E di l'artigghj feri
Di nigghj, e di sparveri....O libertati!
(Pari, chi a mia dicissi) o quantu è cara
La bella Libertà! Matri natura
Non putìa fari a nui
Donu chiù preziusu, o darni chiui.
Mossu dunchi a pietà
Cci dugnu libertà.
Sferra, vola cuntenti all'ariu apertu;
Ma lunga prigiunia lu fa inespertu.
Vurrìa in autu vulari, e chiù s'abbassa;
Vurrìa iri luntanu, e non s'arrassa;
E chiù supra di l'ali
Sustinirsi non po; casca, e si trova
Ntra li granfi d'un gattu, ch'osservannu
Sta sua scappata lu jia cuccìannu.
Miseru cardidduzzu
In vidirsi azziccati
L'ugna a la panza, e li scagghiuni in testa,
Grida, ma invanu: O libertà funesta!

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Fonti: Archivio del CSSSS; Enciclopedia di Catania - Tringale editore.
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