Mario Rapisardi

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Nato a Catania, 25/02/1844 - Morto a Catania, 4/01/1912
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"...La libertà, sublime
Pianta che sol dov'è cultura alligna!
"
Mario Rapisardi "Lucifero canto II"

Mario Rapisardi

   Mario Rapisardi nacque a Catania il 25 febbraio 1844 in via Penninello 33 -traversa di via Etnea-. Nel marzo 1883 andò ad abitare nella zona di piazza S. Maria di Gesù, esattamente nel villino Caudullo, in via Cifali, e là rimase fino al luglio del 1885. Gli ultimi decenni della sua vita li trascorse nella casa di via Etnea 575"...aerea la casa spazia / fra gli orti e i campi aprici, / fra l'Etna e il mare, i miei due grandi amici".
Suo padre, un agiato procuratore legale, pur non impegnato politicamente, era di idee liberali e amico di alcuni dei rivoluzionari borbonici fucilati nel 1837. Mario, oltre ad amare la letteratura e la storia, suonava discretamente il violino e coltivava la pittura. Da ragazzo ebbe come istitutori due preti ed un frate: i primi due gli insegnarono grammatica, retorica e lingua latina; il frate gli insegnò filosofia. Nel 1859 esordiva con l'Ode a Sant'Agata vergine e martire catanese. Lettore appassionato di Alfieri, Monti, Foscolo, Leopardi e di vari autori risorgimentali, scrisse, ancora adolescente, un Inno di guerra, agl'italiani e l'incompiuto poemetto Dione, nella cui prefazione esalta le battaglie di Solferino, Palestro e Magenta, partecipando così all'atmosfera politica di quei mesi, che pose fine alla monarchia borbonica. Per contentare il padre, frequenta un corso di giurisprudenza, ma non giungerà a laurearsi. Invece lo interessa moltissimo lo studio dei classici greci e latini, che gli suggeriscono le prime traduzioni, le ricerche filologiche e filosofiche di carattere positivistico. Frutti di questo periodo formativo il poemetto Fausta e Crispo e i Canti.
Nel 1865 parte per Firenze, allora capitale del Regno, per il centenario della nascita di Dante Alighieri, cui dedicò l'ode declamata in quell'occasione, e qui, in un clima acceso da fermenti mazziniani e repubblicani, stringe amicizia coi poeti Dall'Ongaro, Prati, Aleardi, Fusinato, Maffei, col dotto Pietro Fanfani, con l'orientalista De Gubernatis e con altri importanti artisti e intellettuali.

Nel 1868 pubblica il suo primo poema, La Palingenesi, dove in 10 canti polimetri che è un canto a Roma, condanna la corruzione del clero e difende l'azione moralizzatrice di Lutero, prospettando col connubio arte-scienza il ritorno del cristianesimo alla purezza originaria. Così esordisce:"Sia principio da te, luce inconsumata / Di verità: coeva a Dio tu splendi / Per la notte dei tempi..." Il successo dell'opera (Verga fu uno dei primi a congratularsi) echeggia anche all'estero (Victor Hugo è tra i più significativi estimatori: J'ai lu, Monsieur, votre noble poème. Vous avez dans les mains deux flambeaux: le flambeau de la Poésie et le flambeau de la Verité. Tous deux éclaireront l'avenir. L'avenir c'est Rome à l'Italie et Paris à l'Europe..., je vous envoie mon applaudissement fraternel.), mentre il municipio di Catania assegna all'autore una medaglia d'oro e il ministro Correnti lo chiama a insegnare letteratura italiana nell'ateneo catanese.

Analisi critica su RapisardiGracile, ispirato, romantico, ombroso, geniale e incompreso, ebbe vita intima tormentata. Nel 1872, il 12 febbraio, a Messina sposa una ragazza toscana, Giselda Fojanesi, una bruna di tipo siciliano che suscitò un pandemonio nell'ambiente in cui si svolgeva la vita di Mario. Trascorrono undici anni non felici per la sposina toscana: il Rapisardi si dimostra geloso, irascibile ed infedele. La suocera, Teresa Fossi, chiusa e malignetta, da venir soprannominata, dallo stesso figlio Carricafocu, contribuisce al fallimento del matrimonio. Un nuovo incontro tra la Fojanesi e il Verga a Firenze nell'estate del 1879, rinnova l'antica fiamma; e la tresca continua a Catania fino a metà dicembre del 1883, quando Rapisardi scopre una lettera del Verga (che era tutto il contrario dell'amico: solido, moderno, naturale) a Giselda così conclusa: "Ti bacio sul viso, sugli occhi, sulla bocca così, così, così, a lungo, prenditi qui l'anima mia". Subito dopo, il Rapisardi, (fine del 1883) rompe il matrimonio con la moglie. È protagonista di un altro scandalo che lo riabilita e stavolta anziché vittima lo trova protagonista: una infatuazione tempestosa per la poetessa Evelina Cattermole Mancini (contessa Lara). Passata la sbornia, nel 1885 si sposa con una diciottenne assunta come segretaria, Amelia Poniatowski Sabèrnich, figlia del principe Carlo Poniatowski e di Carolina Sabèrnich, che gli sarà compagna fedele per tutta la vita. Nel 1872 escono le liriche Ricordanze definite parnassiane rivelando una genuina vena intimista. Uno studio critico su Catullo gli vale nel 1875 la nomina a professore straordinario di Letteratura italiana e l'incarico di Letteratura latina all'Università di Catania. Già da qualche anno il poeta è dedito alla stesura del suo secondo poema, il Lucifero, Mario RapisardiLucifero, ispirato dalla crisi di ateismo che colse il poeta e dalle Guerre de Dieux del Parny, ma anche da Milton e dal carducciano Inno a Satana. Il poema, in 15 canti, quasi 10.000 versi, endecasillabi sciolti e altri metri, pur essendo diseguale a livello artistico (a efficaci descrizioni e qualche episodio memorabile oppone una certa macchinosità d'insieme e non rare cadute di tono per non dire di gusto), resta l'espressione più significativa della poesia italiana d'indirizzo positivista. Esordisce così il poema: Dio tacea da gran tempo. Ai consueti / Balli moveano in ciel gli astri, e con dura / infallibile norma albe ed occasi / Il monotono Sol dava a la terra. Lucifero è l'Eroe, che, non ascoltando gli ammonimenti di Promoteo, sale sulla Terra per incarnarsi e dare all'uom salute e morte a Dio.
Per il Lucifero l'arcivescovo di Catania ordinò, pare, un autodafé del libro. Insignito del titolo di Cavaliere della Corona d'Italia (per aver celebrato, nell'XI canto del poema, le guerre d'indipendenza e l'ossario di Solferino) e nominato professore ordinario di Letteratura italiana e latina dal ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis, che lo stimava, Rapisardi pubblica nel 1883 i versi sociali (e sarcastici) di Giustizia, che trovarono vasti consensi (suo epicentro sta nel Canto dei mietitori). Quest'opera nel 1924 sarà addirittura proibita dalla politica fascista. Il Carducci, al quale aveva "devotamente" inviato una copia del Lucifero, resosi conto d'essere oggetto di caricatura in alcuni versi dell'XI canto ("...plebeo tribuno...idrofobo cantor, vate da lupi"), apre con Rapisardi quella polemica che avrebbe diviso l'Italia letteraria degli anni '80. Carducci chiese riparazioni, perché si sentì offeso; Rapisardi assicurò l'amico che quei versi non alludevano a lui. Dall'epistolario del Carducci si scoprono fin dagli anni '60 frasi poco tenere nei confronti del Rapisardi, che certo non era di carattere facile. D'altro canto, di tutti i poeti della sua generazione, egli in fondo stimava solo Arturo Graf. Contraddittorio e polemico, il "vate" fu amico e nemico di altri scrittori, s'abbracciò e litigò con loro: Capuana, per esempio, il giornalista Luigi Lodi (che lo sfidò a duello), i redattori del Capitan Fracassa, Giuseppe Chiarini, lo storico Corrado Ricci ecc. Molte delle sue frecciate tuttavia rimasero o inedite o affidate alla discrezione dei suoi interlocutori epistolari. Di pubbliche vi furono solo le allusive caricature schizzate in certi passi dei poemi. Naturalmente la polemica col Carducci è una storia a sé.

Nel 1884 usciva il poema Giobbe, altro lungo poema, canta il duro cammino dell'umanità infelice che è il suo capolavoro di pensiero e di poesia. Egli elesse, per il suo epico racconto, il biblico Giobbe credente nel suo Dio, Geova, alla guisa del monoteismo cristiano, lasciando la mitologia pagana ed esaltante, nella pluralità degli dei e degli eroi, la bellezza della vita mortale, la noncuranza della sorte ultramondana. " Giobbe dirò, che, sebben giusto e pio, / Molti affanni patì, quando il sorriso / Provato avea di avventurosi giorni: / Sotto al flagello di perpetui mali / Or pavido soggiacque, ora la voce / Sollevò ribellante, infin che scorto / Dal sagace pensier per vari climi / E per lontane età, fra un procelloso / Mutar di genti e dileguar di numi, / La Natura conobbe, a cui più volte / Invan pria di morir chiese la pace" (Libro I parte I). I distici dove il personaggio grida a Dio la sua disperazione (Libro III parte I) toccano altezze forse ineguagliate nella poesia italiana del secondo Ottocento.

Mario Rapisardi Libri

Nel 1887 dà alle stampe le splendide Poesie religiose, forse il suo vertice lirico, cui seguono i cesellati Poemetti (1892) e gli Epigrammi (1897), nonché delle impegnative traduzioni di opere di Catullo, Shelley e Orazio, anche se la cosa più importante resta la traduzione e lo studio critico del poema La natura di Lucrezio (1879). Nel 1894 pubblica il suo quarto e ultimo poema, L'Atlantide, dove, ispirandosi ai Paralipomeni del Leopardi, disegna nelle vicissitudini del poeta Esperio la società italiana lasciva e inetta, additando nella corruzione il principio dei mali. Nel mentre disprezza la borghesia, canta le figure di Newton, Darwin, Pisacane, Marx, Cafiero e altri grandi della storia universale. Denuncia con lucidità e coraggio la criminale politica del governo Crispi (vedi la repressione dei "fasci siciliani"), nella prefazione a Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause (1894) e nel dialogo Leone (1895), che spiegano le feroci repressioni dei moti contadini e operai, nonché nel pamphlet Africa Orrenda, Mario Rapisardi Africa orrenda (1896) e in alcune poesie, avverse al truculento colonialismo. Con caricature o versi siciliani, metteva alla berlina amici o chi non gli andava a genio. Negli ultimi anni si chiude in un silenzio ostinato, indifferente agli onori dei concittadini, che superano di gran lunga quelli tributati a Verga, De Roberto, Capuana… Non lo toccano neppure le critiche di molti studiosi (specialmente il Croce), anche se tra le sue carte si sono trovati feroci epigrammi a gran parte dei letterati dell'epoca: Fogazzaro, Croce, Pascoli, Carducci, D'Annunzio…
Il Rapisardi muore a Catania il 4 gennaio del 1912: al suo funerale parteciparono oltre 150.000 persone, con rappresentanze ufficiali che giunsero addirittura da Tunisi. Catania tenne il lutto per tre giorni. I balconi degli uffici pubblici esposero le bandiere a mezz'asta. I muri delle vie furono tappezzati a lutto e su molte porte fu affissa la scritta: lutto nazionale. Nonostante questo, a causa del veto opposto dalle autorità ecclesiastiche che lo ritennero "irreligioso", la sua salma rimase insepolta per quasi dieci anni in un magazzino del cimitero comunale. Solo dal 1921 riposa nel cimitero monumentale di Catania.
Il nome di Rapisardi, rimasto in ombra per tutto il periodo del fascismo, riemerse grazie agli studi di Concetto Marchesi, Asor Rosa, La Penna e Saglimbeni.

Sonetto a Mariu Rapisardi

Sulu, luntanu di l'eterni gridi,
la to saluti strudi e lu talentu
pari scrivennu versi, sempri 'ntentu
a l'idiali to, ccu amuri e fidi.

Tu, fermu a l'intemperii e a lu ventu,
di Mungibeddu lu gran focu annidi,
e comu ad iddu, curaggiusu sfidi,
tutti li stiddi di lu firmamentu...

Chi ti nni 'mporta si 'na fudda magna,
di scecchi e di 'mputenti, comu cani,
T'abbaja pri darretu li carcagna?...

Tu, sulitariu, a la superbia avvezzu,
passi Giganti ammenzu a tanti nani,
armatu di grannizza e di disprezzu...

Francesco Romeo Corsaro

Catania ha onorato Mario Rapisardi

Busto di Mario Rapisardi al Giardino Bellini di Catania

   Catania in un bel viale del suo incantevole "Giardino Bellini" ('a Villa), raccoglie i suoi uomini illustri che le hanno fatto onore in tutti i tempi. Una specie di Pantheon degli uomini illustri all'aperto. Fra questi grandi catanesi è il mezzo busto in bronzo di Mario Rapisardi.
C'è da dire per amore della verità, che il mezzo busto, è una riproduzione dell'originale, opera del grande scultore palermitano Benedetto Civiletti. L'originale venne nottetempo fatto sparire da chi tendente ad innalzarsi sempre più nel consesso delle nazioni civili e senza la pastoia del miserabile suo passato, antidemocraticamente non poteva tollerare la voce libera e robusta del "vate etneo".
Il mezzo busto in parola venne rifatto presto per contribuzione popolare e inaugurato il 26/04/1907, diede certamente soddisfazione ai catanesi e agli amici del poeta ancora vivente.

Mentre la tomba dell'amata compagna Amelia Poniatowski Sabèrnich è stata realizzata dall'architetto catanese Sebastiano Ittar, non abbiamo notizie certe su chi abbia realizzato il monumento funebre dove è sepolto il Rapisardi, contrassegnato col n. 001 del viale degli uomini illustri del cimitero monumentale di Catania.
Il Centro Studi Storico-Sociali Siciliani ha realizzato nel 2018 un programma con la catalogazione delle tombe monumentali e quelle degli uomini illustri. Il lavoro comprendente informazioni sugli autori, scultori, architetti e progettisti. Comprende altresì, ulteriori informazioni sulla realizzazione delle cappelle e loculi gentilizi e quelle relative a fatti ed avvenimenti legati alla storia della Sicilia e relativi ai morti appartenenti all'EVIS, all'eccidio di Bronte, ecc..

Mario Rapisardi Come potete vedere sulla scheda facente parte del progetto "Cimiteri Monumentali di Sicilia", la tomba è stata realizzata in pietra lavica. Sulla parte superiore è stata poggiata una grande urna con una maschera e varie figure, fra cui una scultura che riproduce il volto del poeta. Una lapide è stata collocata sulla parte anteriore della tomba che riporta i versi del poeta siciliano Saru Lizzio: "Sta giusta tomba chiudi lu to Corpu/ma lu munnu no chiudi lu to nomu.

Fonti: Ju, Sicilia - Virgilio Zanolla - AA.VV.

Altre informazioni su Mario Rapisardi si trovano sulla rivista "JU, SICILIA" organo ufficiale del CSSSS

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