Centro Studi Storico-Sociali Siciliani
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LETTERE DI INTERESSE COLLETTIVO INVIATE AL
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* Elenco di alcune lettere giunte in redazione *

Quanto liberamente espresso dagli Autori delle lettere pubblicate a titolo gratuito, non è indicativo circa la linea d'opinione editoriale del CSSSS.

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Bruxelles

LA SICILIA PER NON MORIRE DEVE STRAPPARE LE MASCHERE

Il Siciliano onesto, spesso costretto a lottare per la sua sopravvivenza quotidiana, non si accorge che il comportamento ambiguo di alcuni suoi rappresentanti politici aggrava sempre più la sua precarietà; le crisi di governo della Regione Siciliana non fanno più notizia, non attirano eccessivamente l'attenzione dell'informazione pubblica e la carta stampata si limita a qualche trafiletto. Banali e irresponsabili sono tutte quelle frasi contro l'intera classe politica con le tipiche frasi "... chi si rumpissunu a nuci du coddu chiddi chi sunu o guvernu ..." oppure " ... ma cu si nni futti, cchiù scuru da menzanotti non poti fari ......." o ancora " ........tantu sunu tutti i stissi ......" e tante altre imprecazioni simili ed irriguardose che non giustificano minimamente le responsabilità del Siciliano che non vuole rendersi conto di avere possibilmente contribuito a creare la precaria situazione in cui versa lui stesso e la sua comunità. Il Siciliano deve rendersi conto che quando si è recato alle urne dando il suo consenso allo sconosciuto candidato amico dell'amico del parente o quando per protesta non è nemmeno andato a votare, egli ha contribuito a gettare le fondamenta sulle quali si erge il castello della decadenza siciliana ed oggi non si giustifichi accusando o imprecando contro i politici che lo amministrano i quali di certo hanno grandi responsabilità ma la mancanza di presa di coscienza del cittadino non dà una mano per cambiare le cose e non è vero che i politici sono tutti uguali, non è vero che tutti sono il simbolo del disinteresse e del malaffare ed il suo asserimento è un altra grossa banalità con la quale condanna se stesso a quella obbedienza silenziosa che gli è stata tramandata e che egli stesso tramanderà ai suoi figli. Sarà pur vero che la politica è corrotta ma di certo essa è composta anche di persone oneste che vivono la politica al servizio dei loro amministrati, con tanta voglia di poter fare qualcosa per la loro terra, ma che vengono ostacolati da politicanti venali, assetati di potere e col solo scopo di conquistare quella poltrona a solo uso personale o per rifarsi di una vita fallimentare nello svolgimento della propria attività privata. La responsabilità che macchia la figura del politico onesto è quella di non smascherare i politicanti di comodo e purtroppo tanti elettori spesso non sanno chi sono quelli che creano appositi scompigli a danno degli interessi della loro Sicilia ed è giunta l'ora che i POLITICI VERI, cioè quelli onesti ed amanti della loro terra, denuncino all'opinione pubblica le malefatte dei "colleghi" incapaci o che agiscono in malafede nella gestione della cosa pubblica; è necessario che la maschera dietro la quale questi si celano venga strappata, i loro volti ed i loro nomi debbono essere resi pubblici così il Siciliano può prendere coscienza su chi è contro la sua ripresa, non deve più dire che i politici sono tutti uguali, deve solo imprimere nella sua mente il volto o il nome di chi non merita la sua fiducia solitamente conquistata con una stretta di mano apparentemente affettuosa e gratuitamente distribuita nel periodo della sua candidatura oppure per il sentito dire; solo così egli può rifiutare il suo consenso a quei rappresentanti che vede solamente ad ogni tornata elettorale mentre durante il loro mandato restano barricati nel "loro immeritato regno" con segretari e portaborse ben addestrati per farsi negare ad ogni forma di dialogo. Queste denunce da parte dei Politici debbono essere fatte subito, altrimenti se fatti in campagna elettorale nessuno ci crederà. Se i POLITICI VERI, ONESTI ed amanti della loro Sicilia smaschereranno i colpevoli, i Siciliani potranno fare la loro parte e con l'uso della potente arma del voto già dalla prossima tornata elettorale incominceranno a sgombrare le poltrone da quelle presenze non meritevoli. I POLITICI ed i SICILIANI accomunati dall'onestà, dall'amore per la loro terra e dalla lotta contro il degrado, possono farcela; gli impostori, gli infiltrati ed i corrotti saranno smascherati quando il siciliano valuterà contemporaneamente il loro operato, il contenuto dei loro programmi, le loro fatiscenti promesse per un "favoloso futuro" e i loro discorsi elettorali studiati a tavolino e predicati dal podio come una cantilena imparata a memoria sempre dallo stesso contenuto: di certo nelle urne si romperà quel crine che sosteneva la famosa spada di Damocle.

Mario Corrente

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Bruxelles

Dalla Fondazione "L'Altra Sicilia" una lettera aperta al Presidente della Regione Sicilia, on. Angelo Capodicasa

Caro Presidente,

Per ben due volte le Sue dichiarazioni ci hanno riempito di gioia: la prima volta quando ha manifestato il suo impegno perché la comunità siciliana all’estero possa aver i suoi eletti, attraverso l’adozione del diritto di voto attivo e passivo e l’istituzione delle circoscrizioni estere. E questo sarebbe, diciamo noi, rivendicare il significato di Regione a Statuto Speciale. La seconda volta quando abbiamo letto che la Sicilia avrà la sua bandiera. Da tempo la nostra fondazione chiedeva che la Regione Siciliana avesse al pari di altre regioni, infine, un suo simbolo di riconoscimento, identificato da tutti nella bandiera. Quando ci incontrammo a Bruxelles Le ricordammo che la nostra comunità aveva bisogno di qualcosa che potesse accomunarla, suggerendoLe che la Regione decida di esporre, nei pubblici edifici, insieme a quella italiana, anche la bandiera della Regione, e questo per dare alla nostra comunità, in Sicilia e nel Mondo, un segnale tangibile di cambiamento. Il Siciliano nell’Isola - e soprattutto quello all’estero - potrà così ricatturare quell’orgoglio di appartenenza che, secondo noi costituisce un valore, in un mondo che invece dimostra di aver perduto ogni ideale.
La nostra emigrazione necessita oggi di una rivisitazione. Sono sempre più numerosi i rientri (poco favoriti dalla Regione però…) e la stessa figura del siciliano emigrato si è adeguata ai cambiamenti. Crediamo sia venuto il momento di sopprimere leggi obsolete come la legge 4 giugno 1950 e la legge 5 giugno 1984 n°38 che regolamentano la nostra emigrazione. Queste leggi non hanno più senso di esistere in un mondo che dal 1950, dal 1984, ma persino da ieri stesso, cambia e diviene differente. Bisognerà coordinare tutte le energie positive presenti in emigrazione che, insieme ai responsabili regionali – sottolineamo responsabili - possano preparare una legge che sostituisca le due precedenti, e questo per adeguare il mondo dell’emigrazione ai cambiamenti in atto e dare alla stessa emigrazione un nuovo corso, da tempo atteso, che la faccia uscire dalla sua attuale forma mercantilista e partitocratica. Le nostre comunità all’estero non vogliono più che altri programmino e pensino al loro posto e, convinte della necessità di un riscatto economico e sociale dell'Isola per poter finalmente abbattere nefasti stereotipi (delinquenza, usura, corruzione, criminalità ecc..) portano avanti il discorso di un rinnovamento che deve passare innanzitutto dalla rifondazione morale della classe politica siciliana. Infatti, se oggi la nostra Sicilia si trova in condizioni disastrose lo si deve soprattutto a quella classe dirigente, passata e presente, che nulla ha fatto e nulla vuole continuare a fare per la Sicilia e per i Siciliani. Ci ricordiamo ancora che Lei ci ha confessato, quel giorno a Bruxelles, che c'è gente che manovra contro i cambiamenti, tanto richiesti e tanto necessari. Noi pensiamo che dovere principale del politico sia quello di smascherare i politicanti di comodo e crediamo ormai giunto il momento che i responsabili politici, amanti della loro terra e della loro gente, denuncino all'opinione pubblica le malefatte di "colleghi" incapaci o che agiscono in malafede nella gestione della cosa pubblica, e così poter evitare dichiarazioni come quella di una sedicenne che, pur vivendo in Sicilia, ci ha confermato di vergognarsi di essere siciliana . Caro Presidente, dall’emigrazione discende come corollario l’associazionismo secondo noi superato e poco trasparente in tutte le sue forme. L’associazionismo regionale che dovrebbe essere monitorato dalla Magistratura se ad esempio riesce ad organizzare corsi di formazione in Nuova Guinea o in Papusia quando, una lettera di una studentessa universitaria messinese, Ivana C., ci comunica un sondaggio che mette pesantemente sotto accusa l'istruzione scolastica siciliana che, tra l’altro, accusa ritardi epocali nei confronti del resto d’Italia, e contribuisce a catalogare la nostra Isola come "l’Isola degli asini". Certamente un'affermazione del genere si urta con una nostra tradizione culturale e letteraria fatta da Verga, Pirandelllo, Quasimodo, premi Nobel la cui nomea ancora oggi è rinverdita da autori siciliani come Consolo, Piazzese ecc.. Siamo convinti che tutti i miliardi spesi per i corsi di formazione per gli italiani residenti all’estero potrebbero avere un effetto migliore se fossero investiti nella nostra Isola e potessero servire a preparare la nostra gioventù ad affrontare le sfide del nuovo millennio. Certi della sua consueta “non risposta”, riceva, Caro Presidente, i nostri saluti,

Eugenio Preta e Francesco Paolo Catania

Fondazione "L'Altra Sicilia"

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Messina

E LASCIA PUR GRATTAR DOV'È LA ROGNA.

Di recente un sondaggio ha affermato che l'istruzione scolastica siciliana sembra divenire sempre minore in confronto al resto dell'Italia. La nostra Isola è stata catalogata come "Isola degli asini". Certamente un'affermazione del genere non l'avrebbero mai pensata ai loro tempi nè il grande Giovanni Verga, nè Luigi Pirandello, nè tantomeno, andando avanti con i tempi, il nostro Salvatore Quasimodo. Tanti altri grandi artisti siciliani si potrebbero ancora nominare a dispetto di ciò che dicono i giornali sulla cultura della nostra bella Isola, ma non è certo il luogo opportuno per elencarli tutti. Delle domande mi sorgono ora alla mente: È vero che il livello culturale della Sicilia è inferiore rispetto al resto dell'Italia? E, supponendo che la risposta per alcuni sia sì, di chi è realmente la colpa? Certo la Sicilia non è nota per il suo degrado culturale quanto per il suo basso livello di vita. Sappiamo bene che la nostra bella Isola scarseggia di infrastrutture più delle altre parti dell'Italia. Vero che ancora oggi, nel 2022 molti ragazzi nel Sud non vanno a scuola, ma ciò non implica la loro scarsa intelligenza, implica piuttosto il fatto che spesso non sono adeguatamente stimolati. Questo stimolo non arriva per la mancanza di strutture scolastiche efficienti in quanto le Istituzioni non provvedono in modo equo alla distribuzione sul territorio di scuole e servizi annessi. Peraltro molte volte le famiglie non vengono messe in condizioni economiche tali da poter garantire l'istruzione dei propri figli, anzi quei pochi che, nonostante la poca agiatezza, provano con coraggio a fare istruire i loro giovani oltre la scuola d'obbligo, vengono gravati dalle numerose tasse a volte paradossali (si pensi ad esempio alla tassa per il diritto allo studio universitario). Quindi a mio parere dobbiamo dire grazie al nostro efficiente sistema amministrativo se ancora una volta la nostra dignità di siciliani viene offesa. Giovani, non accondiscendiamo a tutto ciò che ci viene imposto direttamente o indirettamente, cerchiamo una via di uscita dal buio in cui siamo (anche se ciò forse non spetta a noi comuni cittadini), troviamo il coraggio di dire di chi è la colpa e "lasciamo pur grattar dov'è la rogna".

Ivana (studentessa all' Università di Messina)

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Francesco Paolo Catania
Bruxelles

IL LIEVE FASTIDIO

Molti lettori criticamente troveranno queste pagine presuntuose e prepotenti perché enfatizzano la Sicilia, ma soprattutto danno valore a quell'essere siciliano, quel male oscuro che esagera luoghi e personaggi, che crea un mondo e nello stesso tempo lo isola dagli altri. «... I giovani cercano di imitare, i vecchi non sanno che ripetere... Perchè cambiare? Stiamo così bene...». Quando una società diviene troppo intelligente in rapporto alle sue strutture politiche bisogna saper proporre qualcosa di nuovo. E noi abbiamo proposto qualcosa di nuovo: la partenza. Apparteniamo a queIla schiera numerosa, purtroppo, di siciliani che sono dovuti partire, che hanno dovuto « spaesarsi » letteralmente per trovare quello che cercavano, chi un lavoro, chi semplicemente un'altra dimensione, un'identità nascosta. Per questo spesso apriamo il nostro animo alla nostalgia come qualcosa che possiamo rinnegare ad ogni momento ma che ci culliamo dentro come lieve fastidio che poi non fa così male.... Molti hanno trovato un lavoro, sono riusciti a costruirsi - con mille sacrifici - quella casa che nell'immaginario collettivo ha sempre significato il luogo sicuro, la "rrobba", la sicurezza e il riparo al rovescio degli eventi. Uno « scendere e salire le altrui scale » che se ha portato al possesso di una casa, ne ha stravolto il significato, gli ha dato uno strano sapore per il semplice fatto che non poteva sorgere dove avrebbero voluto ma dove il destino aveva invece stabilito che dovessero vivere. Lontano dal sole e da quell'aria salmastra che puoi sentire persino nei paesi dell' entroterra, lontano dalle brezze dei mari che circondano L'Isola, lontano dai sapori delle stagioni, ma soprattutto lontana dai genitori, dai fratelli, dagli amici, sempre più distanti, sempre meno numerosi.
E hanno pagato un grosso pegno abbandonando il paese in cui avevano imparato le regole elementari della vita, i suoni, i colori ed i sapori. Hanno però curato quel lieve fastidio, la nostalgia. E lo hanno alimentato con frequenti ritorni e altrettanto frequenti partenze che hanno ripreso quel filo di emozioni rimasto a mezz'aria. Sono rimasti però ignorati, i loro sacrifici non sono stati più riconosciuti nemmeno nella loro stessa famiglia. Hanno cancellato, il giorno stesso della loro partenza, e con la loro partenza, la parola assistenza, la logica assistenziale che fa morire I'Isola, e che ancora oggi va tanto in voga presso i loro fratelli più pigri e meno coraggiosi che non vivono di lavoro ma di sole, mare e parole fritte. Come quelle raccontate da chi va a cercarli per poter ottenere il voto e poi puntualmente finge di non conoscerli più. Ma sono riusciti a rimanere a casa loro, sono rimasti nel posto in cui sono nati, possono incontrarsi ogni giorno, non hanno cognizione del vuoto. Vuoto che non capiscono come invece si stia tramutando in una penalizzazione per tutti i siciliani indistintamente: chi vive nell'Isola e chi invece se ne è andato. Gli uffici non funzionano, i funzionari si rifiutano di operare, nessuno controlla. La gente non capisce più. Figurarsi noi che viviamo lontano! Il ricordo certamente è struggente, ma ha bisogno anche di adattarsi alle mutate esigenze. La Sicilia è cambiata, anche morfologicamente. Dove c'era una collina, un campo di agrumi c'è ora una superstrada veloce. È il prezzo che bisogna pagare al progresso. Ma perché il progresso sia effettivo c'è bisogno di rivedere tante cose. Prima fra tutte, bisognerebbe ricordare ai nostri emigrati che cullano « quel lieve fastidio », che oggi in Sicilia 18 imprese artigiane chiudono giornalmente i battenti, in un territorio caratterizzato dalla scarsa dinamicità dei mercati, dalla difficoltà dei trasporti (le ferrovie al nord hanno triplicato i binari, mentre in Sicilia si viaggia ancora a scartamento ridotto, che vuol dire un binario) strade e autostrade non sono proprio veloci se per andare da Messina a Palermo non bastano 4 ore e da Trapani a Marsala almeno due. Non ci sono state assistenze ma rapine, sfruttamenti, esasperate clientele. Non logiche di impresa ed esigenze di mercato bensì il principio del « prendi i soldi e fuggi via ». Così abbiamo costruito cattedrali nel deserto con i capitali dello Stato e della Regione, molte volte compiacenti, evitando, forse volutamente, di gettare le basi per un futuro programmato, di costruire una moderna imprenditoria che sappia far fronte alle sfide del III millennio che, bene o male, coinvolgeranno anche la nostra Isola.
Mancano i servizi e le strutture. Circondata dal mare, la Sicilia non possiede un solo porto commerciale. Colma di tesori architettonici non riesce a dare impulso al turismo che potrebbe essere veramente un plusvalore economico. Non si riescono a sfruttare, anche per carenza di informazione, quei fondi CEE che hanno invece fatto prosperi e moderni altri paesi come Spagna e Portogallo. I giovani corrono ancora dietro all'impiego pubblico sicuro, nel quale sia possibile anche non lavorare. Mafia, criminalità, usura sembrano essere le attività occupazionali, ma più ancora sembra vincente la mentalità del « lasciar passare ». Purtuttavia restiamo fiduciosi. Tutti noi, lontani, vorremmo un segnale che ci dimostrasse che le cose stiano veramente cambiando. Cosí lanciamo una provocazione: perché non fare nostra, della Sicilia, la proposta di eleggere presso l'Assemblea regionale rappresentanti eletti all'estero? Perché non dimostrare così alle autorità nazionali che la Sicilia vuole effettivamente tenere in considerazione i suoi figli che vivono lontano? Perché non far sì che quel « lieve fastidio » che ci curiamo in fondo a noi stessi faccia un po' meno male?

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Bruxelles

I FALÒ E I REPLICANTI

Giorno dopo giorno siamo spettatori di un mondo che ha perduto la bussola. Che giri insospettabili di malaffare, mazzette, tangenti, scandali da rotocalco, massacri di innocente povera gente, scorribande di scafisti, impotenza dei controlli, connivenze politico-affaristiche malavitose costituiscano l'attualità, potrebbe anche rientrare nel novero del prezzo da pagare alla società dei bisogni e dei consumi, ma che la classe politica al governo del Paese, come quella che guida la nostra Regione, persone che abbiamo ammirato per la sagacia che avevano dimostrato nel gestire chi le cose pubbliche, chi le grandi imprese industriali, si scoprano oggi così in contraddizione tra di loro (e non così dabbene come avevamo una volta creduto) questo proprio ci turba profondamente.
L'idea così di non poter delegare il nostro avvenire, e quello dei nostri figli, ad una classe politica che non ci sembra preparata ed attenta ai problemi del Paese, ma rissosa; alla ricerca di posti e potere non può certo tranquillizzarci. Il sospetto poi che i mezzi d'informazione, la tanto amata televisione (che all'estero riesce a criptare persino i cartoni animati ed il Quark pomeridiani) ci abbiano propinato per anni le loro verità, che ci abbiano convinto di una data tesi secondo la loro logica di appartenenza politica, le direttive del partito a cui obbedivano si affaccia nelle nostre menti. Così tutti i punti di riferimento del nostro vivere "politico" vacillano e, fatalmente, viviamo momenti di smarrimento. Ma tutto si giustifica oggi con il cambiamento, costi quel che costi!
Ci sconvolge però l'idea che strade, ponti aeroporti, opere pubbliche, giardini nido, cliniche, ospedali e fabbriche possano essere sorti - nella logica della lottizzazione politica - laddove il connubio affari-politica avesse trovato il giusto tornaconto in termini di soldoni e non dove effettivamente ce ne sarebbe stato effettivamente bisogno per la gente che, così, ne avrebbe trovato giovamento. Ci sconvolge anche l'idea delle migliaia di giovani ancora alla ricerca del primo impiego, delle file dei disoccupati che vanno a infoltire le bande della malavita, della paura dei cittadini delle grandi metropoli, roccaforti ormai di traffici loschi e malaffare, della impotenza di uno Stato distratto ai problemi della gente e pigro nel legiferare, di una classe politica che cerca il proprio tornaconto tradendo persino il mandato ottenuto col voto degli elettori. Ci sconvolge in fondo l'idea di essere, nonostante il nostro gran parlare, parte integrata di questa società in cui viviamo, di accettare, nostro malgrado, di essere esattamente l'immagine di quello che rifiutiamo. Abbiamo tutti le stesse reazioni di sdegno, di ripulsa ma, senza ipocrisia, confessiamolo, non facciamo niente per cambiare le cose e, codardamente, fingiamo anche di capire le ragioni di chi ha rubato o ci ha propinato una logica abietta che ci fa tenere in considerazione quei criminali e, edulcorandola, ci fa comprendere quella realtà.
L'idea dello Stato, nella sua forma originale di contratto sociale, dovrebbe essere quella di una garanzia di diritti e doveri in modo che ognuno possa godere della propria libertà senza offendere quella degli altri, in modo che ognuno rifletta nello Stato se stesso, i suoi intendimenti, le sue esigenze. Invece lo Stato odierno (la società, quindi noi stessi) non ci dà il minimo affidamento, ci offre una realtà effettuale e dieci effettive, non ci cautela né ci offre garanzie. Nel marasma degli avvenimenti perciò confondiamo ormai il giusto e l'ingiusto, perdiamo il lume della solidarietà, ci accorgiamo del venir meno di quella coesione sociale, di quella simpatia degli uni verso gli altri, dell'italico "volemose bene". Diventiamo feroci animali metropolitani parcheggiati in triplice fila. Ci vengono in mente i film che raccontano degli uomini sopravvissuti all'ultima follia, al disastro nucleare, alla fine del mondo: ridotti senza risorse, senza più ideali né valori, inevitabilmente di ritorno alla primitiva barbarie. La gente osserva i falò che si attizzano un po' dovunque e si chiede spaventata cosa succederà.

Eugenio Preta e Francesco Paolo Catania

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